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domenica 31 maggio 2020


Il viaggio inaspettato. Un ricordo di Savino Ivano Romagnuolo
di p. Alfredo M. Tortorella
Mentre mi accingo a scrivere, Savino è da ormai 12 ore nella Casa del Padre. Stamane, 3 febbraio ’19, alle ore 7.00 Savino è passato dalle braccia di suo papà Raffaele – che come ogni mattina lo stava aiutando nelle pulizie – alle braccia del Padre Misericordioso. Aveva 31 anni. Mi sento in debito con Savino, in debito per tante cose. Anzitutto dovevo scrivere prima: avevo promesso a lui e a qualcun altro di scrivere del nostro viaggio a Medjugorje avvenuto lo scorso maggio 2018. Un folle viaggio ma un più che convinto pellegrinaggio, voluto dallo stesso Savino che a Medjugorje ritornava per la terza (e ultima) volta. DOVEVA tornare a Medjugorje: tutta la sua fede era ritornata a pulsare lì, tra le montagne della Bosnia, in una lecita e al tempo stesso un po’ immatura ricerca di un miracolo: quando nel 2012 avvertì i primi sintomi di stanchezza correlati alla SLA, che fu poi diagnosticata sia a Casa Sollievo della Sofferenza, e nei primi mesi del 2013 al Gemelli, Savino credeva sì in “un Dio”, ma non lo conosceva ancora bene. Come ogni ragazzo di 25 anni, Savino aveva all’epoca una sua vita personale che poteva pure prescindere dalla fede: sport, musica (era DJ e Speaker alla radio), fidanzata, università… poi, tempo dopo la diagnosi nefasta, una notizia curiosa e un’insistenza materna: la notizia curiosa era che un suo conoscente malato di SLA proprio lì a Medjugorje era inspiegabilmente guarito, mentre l’insistenza materna veniva proprio dall’incoraggiamento di mamma Silvia, la quale desiderava pure lei recarsi dalla Mamma Celeste. E così Savino partì prima nel 2014 e poi nel 2015 e … un miracolo ci fu: il miracolo di una fede ritrovata e di una pace conquistata. Il cuore ora non era più nell’affanno: Savino, dopo lunghi pianti e una scoperta bellissima della preghiera, sapeva e divenne convinto che Dio lo amasse. Dio non era lontano: era vicinissimo, proprio in quel Pezzo di Ostia luminoso che sull’altare all’aperto di Medjugorje viene adorato con speciale nostalgia e commozione. Lì vi era il Cristo. Lì vi è il Cristo, sempre e in ogni chiesa. Questa fu la scoperta tremenda e grande fatta da Savino. E tutto avveniva per le mani di quella Santa Madre che si offriva ai cuori come Regina della Pace riconquistata.
E poi, il nostro viaggio del 2018, dal 2 all’11 maggio. Savino non era più in sedia a rotelle da tempo: il lettone fatto dal falegname era ormai il suo habitat, il suo sostegno. Da lì guardava il mondo intero attraverso internet e un puntatore ottico che l’aiutava a comunicare, a scrivere, a interagire con gli altri malati SLA d’Italia con i quali ha fondato un’Associazione per aiutare la ricerca: la VIVA LA VITA ONLUS, impegnata in raccolta fondi, sostegno in rete, sensibilizzazione e lotta pacifica con quelle ASL un po’ lente a riconoscere i diritti dei malati SLA.
Come era possibile lasciare quel lettone e mettersi in viaggio per Medjugorje? Aereo e nave non avrebbero mai trasportato un malato così serio…. Ma Savino era un vero lottatore: sebbene silenzioso si faceva sentire… anche dal Signore! Così il suo desiderio si è realizzato: un bel camper! E al posto del tavolino ci mettiamo un altro lettone fatto dal falegname! E chi lo guida? Ovvio, papà Raffaele e il sottoscritto che ha fatto da “secondo pilota”. Il 1 maggio la famiglia Romagnuolo al completo fa la prova del camper e decide come meta fuori Manfredonia, proprio Macchia, dove si trova la nostra comunità camilliana. Era presente il nostro padre generale, p. Leo Pessini, che per l’occasione ha benedetto il camper. Finanche il novantenne p. Bartolo ha voluto allungare una mano a Savino, senza salire sul mezzo, in segno di affetto e benedizione. Siamo partiti la mattina del 2 maggio da Manfredonia per giungere a sera a Mottinello di Rossano Veneto dove siamo stati ospitati a Villa Comello, presso i confratelli camilliani. La mattina del 3 attraversammo “la stretta” Slovenia e poi la grande e lunga Croazia, tra montagne e boschi, e nonostante fosse ormai maggio, affrontammo acquazzoni e raffiche di vento. Savino rimase al suo posto, lì sul lettone, comunicando senza pc ma con una lavagna ETRAN, abilmente usata dalla sorella Rosy. Non molte lamentele, nessuna paura del viaggio: lui “sentiva” che la meta si faceva sempre più vicina. La meta era appena dopo il confine croato, in quella propaggine della Erzegovina ai confini meridionali con la Croazia.
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La sera del 3 maggio giungemmo a Medjugorje: anche per l’alloggio c’è stata qualche piccola problematica ma poi facilmente superata dalla speranza e dalla gratitudine di tutta la famiglia che vedeva realizzarsi quell’importante sogno di Savino. A Medjugorje, gli alberghi e gli alberghetti si sono attrezzati per l’accoglienza dei malati sulle sedie a rotelle: purtroppo mancano ancora strutture recettive per malati barellati, tipo come vi sono a Lourdes. Savino aveva un desiderio: quello di ricevere lì l’Unzione degli Infermi e soprattutto, “da tanti sacerdoti”. Il compito di organizzare la cosa, ovviamente, spettava al sottoscritto. E’ da dire che sia il parroco di Medjugorje p. Marinko che il Provinciale dei Frati Minori della Bosnia erano stati preavvisati della presenza di questo malato, anche perché Savino aveva da tempo chiesto ed ottenuto alle autorità ecclesiastiche della Diocesi di Manfredonia di comunicarsi in un modo tutto speciale: per via PEG, col Sangue di Cristo, il Vino Eucaristico. Per accedere a questa Comunione, Savino scrisse pure a Papa Francesco, il quale lo affidò al discernimento del compianto vescovo Mons. Castoro che andò a casa sua per comunicarlo lui stesso in quel modo speciale. Savino, a tal proposito, ebbe a scrivere: “Credo che l’Eucarestia è Gesù Vivo. Desidero vivere, anche con la SLA, ma non voglio privarmi di Gesù Vivo”.
A Medjugorje la pioggia continuò per quasi tutti i giorni del nostro soggiorno e i pellegrini si stringevano tutti nella Parrocchia di San Giacomo.. troppa gente per Savino e, soprattutto, poca aria per lui che andava spesso soggetto a crisi respiratorie. Sicché la Messa, quando poteva, l’ascoltava dalla sacrestia. Una mattina, mentre si celebrava la Messa internazionale, Savino chiese di ricevere l’Unzione e chiese che più sacerdoti gli imponessero le mani. I sacerdoti erano appena giunti in sacrestia per togliersi i paramenti. Savino era in sedia speciale, quella col reggitesta, col volto verso una porta finestra aperta (quella che dà all’altare esterno) per consentirgli una respirazione facilitata. In quella posizione dava le spalle alla sacrestia, ai sacerdoti e al banco sul quale lasciavano i paramenti. I preti erano tutti croati, tedeschi, rumeni.. Come facevo ad invitarli a trattenersi per dare l’Unzione? Nessuno, se non un Minore Conventuale rumeno, masticava un po’ di italiano. Così il frate si è intrattenuto, ma Savino ne voleva molti di più. Gli ho detto che ero spiacente, ma i preti se ne stavano andando e veramente non mi avevano capito. Quando ho iniziato il Rito dell’Unzione ho visto però con la coda dell’occhio che qualche sacerdote silenziosamente si tratteneva in preghiera: prima uno, poi un altro, un altro ancora… Al momento rituale dell’imposizione delle mani, Savino era lì che guardava dalla finestra lo splendido cielo di Medjugorje, anche se ancora plumbeo: sentì le mie mani posarsi sul suo capo e chiuse gli occhi.. poi sentì le mani del Minore Conventuale, e poi altre mani sacerdotali, ed altre ancora. Ed altre, ed altre, ed altre ancora… Più di 15 sacerdoti di varie nazioni, lingue, preti secolari e di ordini religiosi, si erano intrattenuti in silenzio, in comunione col cuore orante e silente di Savino, per pregare ed intercedere. Vidi delle lacrime scendere sul volto del giovane malato, poi una smorfia silenziosa con la bocca: Savino era nel pieno della commozione. Forse aveva chiesto alla Madonna in preghiera che almeno vi fosse un’abbondante intercessione di sacerdoti.. E Maria non ha tardato a muovere i cuori dei suoi figli consacrati. Molto più tardi, quando Savino tornò a Manfredonia nel suo bel lettone e col suo fedele puntatore ottico, mi confidò che non aveva chiesto altro che questo: la preghiera dei sacerdoti per lui malato e per tutti gli ammalati. E Maria l’esaudì.
Giovedi scorso, 31 gennaio 2019, Savino mi manda un messaggio su Wattzapp: “Alle ore 19.00 il Vescovo fa Messa qui. Se puoi desidero anche te”. “Bene”, gli dico, “Mons. Moscone inizia la sua visita pastorale a casa tua!”. Effettivamente Mons. Franco Moscone è divenuto da qualche giorno il nuovo Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo. Sia io che don Fabio dei Ricostruttori nella Preghiera, gli abbiamo fatto sapere di questo giovane 31enne malato di SLA. Il Vescovo promette e mantiene. Ci ritroviamo così insieme a Casa Romagnuolo  per la Santa Messa. C’è anche suor Carmela delle Suore della Carità. Savino, che prima si era da me confessato con gran frutto e commozione, aveva da dire delle cose al Vescovo. Mons. Moscone lo segue al pc, mentre lui scrive con gli occhi. “Padre Franco”, gli scrive, “vorrei che le dicesse a tutti i preti di dare importanza a due cose: all’Adorazione e alla preghiera di guarigione per i malati”. E poi: “Io continuo ad avere fame e sete del Sangue di Cristo Gesù”. Padre Franco Moscone si commuove, come noi tutti del resto. Si percepisce che si è di fronte a un malato particolare, non per la gravità della situazione, ma per la profondità dell’animo. Savino vive un rapporto con Dio unico e intenso. Sua sorella Rosy mi ha detto: “Il suo rapporto con Dio è invidiabile”. E’ vero, ed ognuno che l’incontra, ormai, lo percepisce.
Savino non era per nulla un bigotto. Era diventato un Credente. Un uomo malato, un giovane, che si sforzava in quella condizione di testimoniare e vivere il Vangelo che amava postare quasi tutti i giorni su Facebook. Oltre a prendersi cura dell’Associazione Viva la Vita che seguiva personalmente, era un vero benefattore di tanti poveri. È arrivato a raccogliere soldi “per i poveri del Papa”, inviandoglieli in Vaticano. Papa Francesco non ha tardato a ringraziarlo a nome dei poveri scrivendogli una lettera di suo pugno. Quando leggeva che nei tempi forti nella piccola Comunità parrocchiale di Macchia di Monte Sant’Angelo organizzavo la raccolta viveri, non tardava a scrivermi via Wattzapp: “Fratello” mi scriveva, “aderiamo anche noi alla raccolta, quindi gentilmente fammi sapere quando puoi passare”. E poi: “ti confesso che quando posso destino parte della mia pensione alla Caritas”.
Dico che non era un bigotto, bensì un credente per la sua spiritualità: non ha mai accettato discorsi di rassegnazione, di portare la croce, prepararsi alla morte o roba del genere. Per lui era importante vivere! Desiderava con tutto il cuore guarire e questo desiderio, vissuto con serenità, lo conduceva a vivere veramente la croce, ma quella gloriosa! Savino era testimone del Crocifisso-Risorto. Il suo esser-ci era immagine di Colui le cui piaghe sono luminose e trasfigurate.
Sulla scia di San Camillo che detestava quella pietà che taglia le braccia alla carità, Savino mi scriveva: “Il Malato va aiutato, e non usato come lavandino per pulire la coscienza”. Parole forti ma rivelatrici di come era diventato sensibile a tutti coloro che si accostavano a lui secondo pietismo e non secondo verità di relazione. Aveva conosciuto San Camillo e la spiritualità camilliana in seguito a una missione parrocchiale camilliana fatta alla Parrocchia Stella Maris di Manfredonia nel dicembre 2017. Tra l’altro, non era la sua parrocchia, e per un puro caso ci siamo trovati a casa sua. Mi scriveva ancora: “Amo i camilliani… Quando vuoi puoi fare Messa qui. Molti religiosi devono imparare da San Camillo e da Maria Domenica..”. Parlava della Beata Maria Domenica Barbantini, fondatrice delle Suore Ministre degli Infermi di cui conservava una reliquia regalatagli da Suor Tiptara. L’immagine di San Camillo che gli ho regalato è ancora lì, su quel bel lettone fattogli dal falegname, appena sotto il quadro di Gesù Misericordioso.
Vorrei concludere questo ricordo di Savino e queste considerazioni sulla sua fede con alcune sue belle preghiere e frasi, mandatemi sempre su Wattzapp e a volte lette durante l’Ora di Adorazione Eucaristica in Parrocchia:
“Sei troppo buono con me, mio Dio. Hai dato la tua vita per me: umilmente grazie, Gesù! Donaci più fede in te e più amore nei nostri cuori; donaci la forza di saper perdonare, forza di riconoscere i nostri peccati, forza per aprire gli occhi, forza per superare la paura e confidare in Te. Tocca tutti i soffrenti donando pace, fiducia, fede e libertà da ogni sofferenza, poiché tu sei Dio con noi, Dio che salva, Dio dell’impossibile e guarigione dei malati” (Questa è la preghiera completa che offro a tutti perché ognuno creda che Dio ci ama come nessun altro). (18 gennaio 2019)
“I religiosi non devono parlare al malato di morte, ma aiutarlo a credere senza preoccuparsi. Il religioso abbia il coraggio di credere nel Vangelo, credere nella forza della preghiera, credere nel nostro Dio dell’impossibile. È inutile pensare al passaggio alla vita eterna, perché la vita è una sola e l’eternità, per chi crede, è già ora e dopo continua. È inutile pensare al raccolto, non spetta a noi mietere. Noi dobbiamo seminare, portare frutto, bello, buono e abbondante. Su questo dobbiamo investire”. (19 gennaio 2019)
“Nonostante la morte può aleggiare attorno, confido in Dio. Non ci penso, non ci ho mai pensato, amo la vita e desidero portare frutto. Dobbiamo imparare da Gesù. Lui nel Vangelo viene raccontato mentre cura, ha curato, sta andando a curare qualcuno. Ecco perché dico che Gesù è Dio con noi, Dio che salva, Dio dell’impossibile. Dobbiamo avere fiducia, credere nel suo amore per noi. Ho avuto il dono di conoscere una malata sla che ebbe il dono della pre-morte. Ma ripeto: non ci penso. Dico: Gesù pensaci Tu. Non so cosa pensate ma vi dico: non smettete di credere nei miracoli e che la preghiera fa miracoli in noi e tra noi. Credere sempre, fino alla fine. L’unico nostra vanto sia solo Gesù”. (19 gennaio 2019)
“Bisogna fidarsi e affidarsi a Dio completamente, anche quando noi non capiamo i suoi progetti. Questa è la via della forte fede, sapendo che Dio ha dato la vita per ognuno di noi vincendo la morte. Forte fede è fiducia totale in Gesù, Dio con noi, Dio della vita, Dio liberatore” (17 gennaio 2019)
“Il religioso è apostolo di Gesù. Lo insegna nel Vangelo e la Madonna lo conferma. Ad ogni prete è affidato il dono della guarigione. Per risvegliare il dono, ogni prete deve pregare di più e credere fermamente, credere che Dio tutto può. Ecco perché il malato può vedere il prete anche come medico e vedere nei Sacramenti l’amore di Gesù” (17 gennaio 2019)
“Gesù donaci più fede in te e più amore nei nostri cuori. Tocca tutti i sofferenti donando pace, fiducia, fede e libertà da ogni sofferenza, perché Tu sei Dio con noi guarigione dei malati” (13 gennaio 2019)
“La Madonna parlò nei messaggi di Medjugorie riguardo la malattia, al bisogno di credere saldamente e di pregare tanto. San Pio nel miracolo riconosciuto che lo ha reso santo  diceva al piccolo miracolato l’importanza della forza di volontà per guarire. Poi tanto mi insegna la storia di Giobbe, Giobbe si sentiva innocente e comunque pur peccatore ma ciò non giustifica l’enormità del dolore.  Poi Dio gli parla e lo illumina, lo meraviglia. Giobbe capisce così che Dio è il suo riscattatore, suo Padre al quale pur malato peccatore e mortale, può sempre rivolgersi. Dio non spiega la sofferenza ma la riempie con la sua presenza. Giobbe non accetta passivamente la croce ma la abbraccia sapendo che non è più solo perché ha visto Dio, ciò significa che guarderà tutto in modo diverso cercando in ogni cosa il disegno di Dio. Il suo rapporto diventa così stretto con Dio che Giobbe diventa mediatore per la salvezza degli amici che erano stati con lui senza amore, ferendolo come nemici. Questo è Giobbe: la storia di un uomo sofferente che ha amato sperato invocato e  creduto nel suo riscattatore sicuro, l’Onnipotente suo Padre, nonostante la sua condizione di umana sofferenza. Ecco perché ora dico, la speranza non basta, bisogna credere, ringraziare e avere piena fiducia in Dio Padre, in Gesù Cristo, nello Spirito Santo, ricordandoci che possiamo dare più forza alla nostra preghiera con l’aiuto della Madonna, perché  nonostante la situazione può umanamente peggiorare, Dio è con noi”. (1 gennaio 2019)
“Natale è il compleanno di Gesù. È possibile fargli un regalo aprendo il nostro cuore ai più deboli. Allo stesso modo, come bambini, possiamo affidargli il nostro desiderio e ringraziarlo per averci ascoltato” (16 dicembre 2018)
“Diciamo ” confido in Te ” per poi subito pensare al futuro, dando priorità alla paura, ai dubbi che spengono la speranza in noi stessi togliendola anche al prossimo. Personalmente ogni giorno imparo che confidare significa affidarci sempre più, abbandonare la paura, abbandonare i dubbi ma avere fiducia di essere nelle mani di Dio, liberare la mente dai pensieri perché ci pensa Gesù.
Confidare in Gesù è un atto di abbandono in Lui, credere sempre, davanti anche l’evidenza della realtà, anche quando la sofferenza è tanta. Fino alla fine voglio restare fedele e credere.
La volontà di Dio è scritta nei Comandamenti, non serve dire  “se”,  serve solo “credere” (9 dicembre 2018)
“Non basta solo sperare ma anzitutto credere perché la speranza senza fede è vana”(3 dicembre 2019)
“Una cosa voglio dire a tutti: chi vuole essere potente sappia essere vero umile, non giustiziere ma un valido aiuto sincero”     (22 settembre 2019)
“Gesù Eucarestia è la mia vera medicina”  (13 ottobre 2018)
Macchia di Monte Sant’Angelo, lì 3 febbraio 2019

Fonte: https://www.camilliani.org/il-viaggio-inaspettato-un-ricordo-di-savino-ivano-romagnuolo/?fbclid=IwAR3JDBy4fuMdJbz4OHW_vVSMqbTVPUMyeJncu0SdcnRYNIoRnRqkaKNGOQ4

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