venerdì 30 maggio 2014

Il mio cuore si è aperto a Medjugorje


 Ciao a tutti, siamo Dario ed Elizabeth, da tredici anni viviamo in Comunità come sposi e fin dall’inizio abbiamo condiviso la vita in missione, con i bambini di strada, orfani e abbandonati, prima in Messico e poi in Brasile. Io, Dario, un po’ come tanti altri giovani disperati, avevo la testa dura e quando mi hanno proposto la" Comunità  Cenacolo" non ne volevo proprio sapere. Vivevo per strada e di tanto in tanto mi facevo rivedere ai colloqui, dove ogni volta i responsabili mi vedevano in condizioni sempre peggiori, fino al giorno in cui, anche se non avevo nessuna intenzione di entrare, si sono detti fra loro: «Proviamo a farlo entrare, perché se no questo qui non lo vediamo più!». Nella vita non avevo grandi aspirazioni, anzi non ne avevo proprio. Ancora oggi mi chiedo come mai dopo venti anni sono ancora in Comunità Cenacolo e, anche se tante volte me lo chiedo, in un certo senso so la risposta: perché c’è una forza che ho trovato in Comunità, una luce che mi ha afferrato e mi ha tenuto qui. Ho fatto il mio cammino comunitario come tanti altri ragazzi, ma la svolta l’ho vissuta a Medjugorje, dove Madre Elvira mi aveva mandato come “ultima spiaggia”, e lì è successo qualcosa: il mio cuore si è aperto. Non ho maturato un particolare desiderio di partire per le missioni, ma è stata di nuovo Madre Elvira che mi ha “pescato” inviandomi in Brasile con il primo gruppo di missionari del Cenacolo. È stata un’esperienza molto forte: mi sono sentito realizzato, al mio posto. Ho vissuto sedici anni con i bambini di strada e, probabilmente, in questa convivenza con bambini che hanno già problemi più grandi dei miei, con delle storie impensabili, è nato in me il desiderio di formare una famiglia. In questo cammino missionario, in Messico, ho conosciuto quella che oggi è mia moglie: Elizabeth. Lei, da parte sua, ha incontrato la Comunità in un momento in cui era alla ricerca di un senso profondo nella sua vita. La vita comunitaria ci “piaceva”, lo stare con i bambini ancora di più, la stessa vita della missione sempre molto piena, con tantissime cose da fare, ci realizzava e così abbiamo deciso di sposarci fermandoci come famiglia e fidandoci della Comunità. Oggi abbiamo tre bambini, Francesca, Andrei e Juan Pablo, e per noi è un grande dono aver avuto la fortuna di condividere la vita di famiglia con i bambini delle missioni. I nostri figli sono nati lì e sono, quindi, cresciuti nella semplicità: per esempio giocano con qualsiasi cosa, con un pezzo di legno, qualche pietra, salendo su e giù dagli alberi. Sappiamo bene che oggi tanti bambini non conoscono più questi divertimenti semplici e sani; per questo e per tante altre ragioni crediamo che vivere in Comunità come famiglia sia un grande dono. Siamo convinti che oggi vivere i veri valori della vita sia difficile nel mondo, soprattutto perché ci si sente soli. La protezione che sentiamo qui, l’aiuto degli altri, l’invito alla preghiera, l’invito all’amicizia anche tra i bambini, sono valori che da soli non avremmo mai avuto la capacità di trasmettere in modo così incisivo. Sono frutti e doni della vita in Comunità che non possiamo non vedere e riconoscere come tali. Come tutte le famiglie, anche i nostri figli, che oggi hanno 12, 10 e 8 anni, andando a scuola e confrontandosi con la vita e con gli altri, cominciano a vedere i nostri difetti. Allora, quando le “acque” in casa non sono proprio calme e serene, ma c’è un po’ di burrasca, facciamo la revisione di vita, come ci ha insegnato Madre Elvira: ognuno espone i suoi problemi e difficoltà, i nostri figli ci dicono i nostri difetti, noi li accettiamo e poi si ricomincia tutti insieme nel perdono e nell’impegno a crescere. Sicuramente arriverà il giorno in cui i nostri figli decideranno la loro strada, ma siamo convinti che questi anni che hanno vissuto intensamente nel bene - perché la vita della Comunità è serena ma esigente - rimarranno in loro come un tesoro per tutta la vita. Il nostro figlio più piccolo, Juan Pablo, ha avuto una storia un po’ particolare: durante la gravidanza il ginecologo chiese ad Elizabeth di fare degli accertamenti perché, vista l’età un po’ avanzata, poteva essere una gravidanza a rischio. Secondo le loro previsioni, Juan Pablo doveva essere affetto da “sindrome di Down”. Ci dissero di fare un esame approfondito per decidere se tenerlo o no, ma noi, comunque fossero andate le cose, avevamo già deciso: crediamo che ogni vita, comunque e sempre, è un dono di Dio da accogliere. Quando è nato Juan Pablo, il dottore è rimasto molto sorpreso quando ha visto il nostro bambino sano e, addirittura, si è messo a piangere dalla commozione.  Le gioie che viviamo oggi sono tantissime e i doni che riceviamo ogni giorno ancora di più: desideriamo ringraziare di cuore il Signore per tutta questa “abbondanza” di grazia che questa vita nella fede ci dona.

Fonte :  http://www.comunitacenacolo.it/viewpagina.asp?keypagina=3704&idlingua=1

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