martedì 8 febbraio 2022

Oggi 8 febbraio si ricorda Santa Giuseppina M. Bakita: la Madre Moretta- PREGHIERA

 


GIUSEPPINA BAKHITA (1869-1947)
vergine dell'Istituto delle Figlie della carità Canossiane


Giuseppina M. Bakhita nacque nel Sudan nel 1869 e morì a Schio (Vicenza) nel 1947.
 
«Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!».
 
 
Preghiera

(Composta da Santa Giuseppina nel giorno della sua totale donazione a Dio, l’8 dicembre 1896)

“O Signore, potessi io volare laggiù, presso la mia gente e predicare a tutti a gran voce la Tua bontà: Oh, quante anime potrei conquistarti! Fra i primi, la mia mamma, il mio papà, i miei fratelli, la sorella mia, ancora schiava... tutti, tutti i poveri negri dell’Africa, fà o Gesù, che anche loro ti conoscano e ti amino!” 
 
 
 
Preghiera a Santa Giuseppina Bakhita
 
O Dio, Padre di misericordia,
che ci hai donato Giuseppina Bakhita quale sorella universale,
evangelico modello di fede semplice e di operosa carità,
dona anche a noi la volontà di credere e di amare
secondo il Vangelo, ed esaudisci le preghiere
di chiunque invoca la sua intercessione.
Per Cristo nostro Signore.Amen. Gloria al Padre.
 
 
 "Santa Giuseppina Bakhita, di origine Sudanese, rapita, venduta schiava, liberata e diventata cristiana e religiosa Canossiana. In un convegno di gioavani, uno studente bolognese chiese: “Cosa farebbe se incontrassse i suoi rapitori?”. Senza un attimo di esitazione, rispose:

“Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita, e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani; perché, se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa”.

“Poveretti, forse non sapevano di farmi tanto male: loro erano i padroni, io ero la loro schiava. Come noi siamo abituati a fare il bene, così i negrieri facevano questo, perché era loro abitudine, non per cattiveria”

Nelle sofferenze non si lamentava; ricordava quanto aveva patito da schiava, “Allora non conoscevo il Signore: ho perso tanto tempo e tanti meriti, bisogna che li guadagni ora... Se stessi in ginocchio tutta la vita, non dirò mai abbastanza tutta la mia gratitudine al buon Dio”.

Un sacerdote, per metterla alla prova, le disse: “Se nostro Signore non la volesse in paradiso, cosa farebbe?” Tranquillamente rispose: “Eh ben, mi metta dove vuole. Quando sono con Lui e dove vuole Lui, io sto bene dappertutto: Lui è il Padrone, io sono la sua povera creatura”

Un altro le chiese la sua storia, Bakhita concluse la sua domanda dicendo: “Il Signore mi ha voluto tanto bene... bisogna voler bene a tutti... bisogna compatire!” - “Anche chi l’ha torturata?” - “Poveretti, non conoscevano il Signore”.

Interrogata sulla morte, con animo sereno rispose: “Quando una persona ama tanto un’altra, desidera ardentemente di andarle vicino: dunque perché aver tanto paura della morte? La morte ci porta a Dio”.

La superiora, M. Teresa Martini, assillata da preoccupazioni, Bakhita, calma, dignitosa le disse: “Eh lei, Madre, si meraviglia che nostro Signore la triboli? Se non viene da noi altre con un poco di patire, da chi deve andare? Non siamo noi venute in convento per fare ciò che vuole? Sí, Madre, io povera grama, preghierò e tanto, ma perché si faccia la sua volontà”."
 
 
 
Fiore africano, che conobbe le angosce del rapimento e della schiavitù, si aprì mirabilmente alla grazia in Italia, accanto alle Figlie di S. Maddalena di Canossa.

La Madre Moretta

A Schio (Vicenza), dove visse per molti anni, tutti la chiamano ancora «la nostra Madre Moretta».

Il processo per la causa di Canonizzazione iniziò dodici anni dopo la sua morte e il 1 dicembre 1978 la Chiesa emanò il decreto sull'eroicità delle sue virtù.

La divina Provvidenza che «ha cura dei fiori del campo e degli uccelli dell'aria», ha guidato questa schiava sudanese, attraverso innumerevoli e indicibili sofferenze, alla libertà umana e a quella della fede, fino alla consacrazione di tutta la propria vita a Dio per l'avvento del regno.

In schiavitù

Bakhita non è il nome ricevuto dai genitori alla sua nascita. La terribile esperienza le aveva fatto dimenticare anche il suo nome.

Bakhita, che significa «fortunata», è il nome datole dai suoi rapitori.

Venduta e rivenduta più volte sui mercati di El Obeid e di Khartoum conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù.

Verso la libertà

Nella capitale del Sudan, Bakhita venne comperata da un Console italiano, il signor Callisto Legnani. Per la prima volta dal giorno del suo rapimento si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle comandi, usava più lo staffile; anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali. Nella casa del Console, Bakhita conobbe la serenità, l'affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati dalla nostalgia di una famiglia propria, perduta forse, per sempre.

Situazioni politiche costrinsero il Console a partire per l'Italia. Bakhita chiese ed ottenne di partire con lui e con un suo amico, un certo signor Augusto Michieli.

In Italia

Giunti a Genova, il Signor Legnani, su insistente richiesta della moglie del Michieli, accettò che Bakhita rimanesse con loro. Ella seguì la nuova «famiglia» nell'abitazione di Zianigo (frazione di Mirano Veneto) e, quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l'amica.

L'acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito. Nel frattempo, dietro avviso del loro amministratore, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane dell'Istituto dei Catecumeni di Venezia. Ed è qui che Bakhita chiese ed ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina «sentiva in cuore senza sapere chi fosse».

«Vedendo il sole, la luna e le stelle, dicevo tra me: Chi è mai il Padrone di queste belle cose? E provavo una voglia grande di vederlo, di conoscerlo e di prestargli omaggio».

Figlia di Dio

Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti dell'Iniziazione cristiana e quindi il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un'intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire: «Qui sono diventata figlia di Dio!».

Ogni giorno nuovo la rendeva sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva ed amava, l'aveva condotta a sé per vie misteriose, tenendola per mano.

Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore.

La giovane africana, ormai maggiorenne, godeva della libertà di azione che la legge italiana le assicurava.

Figlia di Maddalena

Bakhita rimase nel catecumenato ove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa, a donare tutta se stessa al Signore nell'Istituto di S. Maddalena di Canossa.

L'8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce, «el me Paron».

Per oltre cinquant'anni questa umile Figlia della Carità, vera testimone dell'amore di Dio, visse prestandosi in diverse occupazioni nella casa di Schio: fu infatti cuciniera, guardarobiera, ricamatrice, portinaia.

Quando si dedicò a quest'ultimo servizio, le sue mani si posavano dolci e carezzevoli sulle teste dei bambini che ogni giorno frequentavano le scuole dell'Istituto. La sua voce amabile, che aveva l'inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell'Istituto.

Testimone dell'amore

La sua umiltà, la sua semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini scledensi. Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore.



Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma M. Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: «Come vol el Paron».

L'ultima prova

Nell'agonia rivisse i terribili giorni della sua schiavitù e più volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: «Mi allarghi le catene...pesano!».

Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: «La Madonna! La Madonna!», mentre il suo ultimo sorriso testimoniava l'incontro con la Madre del Signore.

M. Bakhita si spense l'8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla comunità in pianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell'Istituto per vedere un'ultima volta la sua «Santa Madre Moretta» e chiederne la protezione dal cielo. La fama di santità si è ormai diffusa in tutti i continenti.

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