domenica 22 agosto 2021

Intervista a Padre Miljenko Steko, in occasione del 40° Anniversario delle apparizioni della Regina della Pace a Medjugorje, di Virgilio Baroni


Virgilio Baroni

Condivido la mia intervista a Padre Miljenko Steko, Provinciale della Provincia Francescana di Erzegovina  per la rivista “Aiutiamoli” dell'Associazione Mir i Dobro, pubblicata in occasione del 40° Anniversario delle apparizioni della Regina della Pace a Medjugorje.

 
Prima domanda:
P. Miljenko, ai nostri pellegrini per inquadrare la realtà di Medjugorje, raccontiamo che se il Cristianesimo è arrivato fino ai nostri giorni è merito indiscusso dei Francescani. I suoi Confratelli hanno coraggiosamente affrontato i musulmani e, in seguito, uno spietato regime comunista. Qual' è il ruolo dei Francescani di Bosnia ed Erzegovina in un mondo così secolarizzato?
Padre Miljenko risponde:
Stando alle fonti, i francescani sono presenti qui dal 1290/91, dunque da più di sette secoli. Abbiamo condiviso col nostro popolo tutto il bene ed il male. Per più di tre secoli qui non ci sono state né chiese, né cappelle, né campane, né normali liturgie. Tutto era letteralmente “come nelle catacombe”, separato dal resto della società. I francescani scrivevano grammatiche, catechismi e libri di preghiere ed erano portatori di cultura e di civiltà. Dopo molti secoli, dal 1941 la rivoluzione di Jospi Broz “Tito” soffocò la vita religiosa nella nascente Jugoslavia socialista. Molti edifici religiosi furono confiscati. Non si può non ricordare che, proprio nel corso della Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra, i partigiani titini uccisero senza processo l’allora nostro Provinciale ed altri sessantacinque confratelli. Durante il regime comunista i francescani, insieme all’intera Chiesa locale ed ai fedeli, subirono una brutale repressione. Dopo la guerra, i miei confratelli sopravvissuti furono condannati a più di trecento anni di carcere in seguito a processi farsa e rimasero in carcere complessivamente per circa duecento anni. I comunisti distrussero anche il nostro apparato scolastico-formativo. A tutt’oggi i nostri seminaristi e studenti di teologia frequentano scuole e facoltà al di fuori della provincia.
Come frati abbiamo vissuto in simbiosi con il nostro popolo e la fede vissuta in condizioni così difficili ha creato tra noi ed i fedeli una sinergia. Abbiamo condiviso fino in fondo il destino del popolo. I croati sono una delle tre popolazioni costitutive della Bosnia ed Erzegovina e, in quanto cattolici, sono la più antica confessione religiosa insediatasi in questo territorio. Gli ortodossi giunsero e si stabilirono qui in concomitanza con l’occupazione ottomana e con il credo islamico. Oggi – dopo i conflitti sanguinosi degli anni Novanta – la frattura tra le varie confessioni è molto evidente. Anche le condizioni sociali sono una questione in gran parte ancora irrisolta. La guerra ha segnato profondamente la realtà sociale locale: molti sono divenuti poveri e decine di migliaia di persone sono state costrette ad emigrare dal Paese. Tutti noi stiamo cercando di curare queste ferite. Forse anche il fatto che la Bosnia Erzegovina sia per la comunità internazionale un enigma irrisolvibile rende tutto più chiaro.
In questa complessa situazione, noi troviamo il modo di vivere il nostro essere francescani e di gioire della vita. Oltre a quelle pastorali, svolgiamo anche significative attività caritative. In questo mondo secolarizzato crescono anche la fluidità e la solidarietà tra le nostre province e anche le possibilità di incontro. Inoltre, grazie ai mezzi odierni e ad Internet le comunicazioni tra confratelli si sono moltiplicate. Dobbiamo solo aprirci gli uni agli altri con maggiore fiducia fraterna e vivere in modo nuovo la bellezza di questo nostro carisma francescano. Noi in Erzegovina, soprattutto percepiamo la benedizione di Dio in particolare nelle numerose vocazioni suscitatesi anche in questi tempi difficili.
 
 
Seconda domanda:
Possiamo dire che durante la guerra di Bosnia del '91 sono sorte molte Associazioni fra cui Mir i Dobro, per portare aiuti umanitari soprattutto nello spirito di carità promosso dalla Regina della Pace. Voi Francescani avete istituito "Il pane di Sant'Antonio". Come avete affrontato l'emergenza profughi che vedevamo vagare nei boschi in mezzo alla neve?
Padre Miljenko risponde
"Il pane di Sant'Antonio" in Bosnia ed Erzegovina non è un’associazione, bensì un’istituzione francescana antica. La nostra filosofia della vita è sempre stata “pensare in piccolo” per far avvenire qualcosa di grande. Poiché la storia ci ha insegnato che ogni realizzazione è frutto di una serie di piccoli passi, che debbono essere fatti con molto amore e molta fede. Tornando ai tempi della guerra in Jugoslavia, all’epoca circa la metà dei duecento fratelli con voti perpetui si trovava ad operare al di fuori dell’Erzegovina. In quelle difficili condizioni creammo una sinergia nel campo umanitario e caritativo con altri soggetti attivi in questo settore, collaborando con molte associazioni, fra queste anche la vostra Mir i Dobro.
 
 
Terza domanda:
Durante i nostri pellegrinaggi a Medjugorje, ci siamo accorti che pochissimi pellegrini sono a conoscenza di un fatto storico che si sta trascinando anche oggi. Vorremmo affrontare con lei un annoso problema: la questione fra Religiosi Francescani e Clero Secolare. Chi meglio di lei potrebbe parlarcene? Com’è la situazione e quali prospettive si stanno delineando?
Padre Miljenko risponde:
Nella prima risposta ho già parlato che la plurisecolare presenza dell’Ordine dei Frati Minori nell’Erzegovina ha creato un legame molto profondo con la popolazione locale. Sul piano formale fino allo scorso secolo l’area era considerata dalla Santa Sede un territorio di missione, la cui competenza ricadeva sulla Congregazione di Propaganda Fide. I francescani sono stati un riferimento per i fedeli non solo sul piano religioso, ma anche politico, culturale, economico e sociale. Tanto per fare qualche esempio, capitava spesso che i religiosi fossero gli unici ad avere un certo grado di istruzione e per questo erano chiamati dalla popolazione, in prevalenza contadina, a rappresentare o tutelare i loro interessi di fronte alle autorità locali. Oppure che i francescani si dedicassero ad attività di vario genere, addirittura creditizie per finanziare l’avvio di piccole attività nel settore agricolo e commerciale per poter fronteggiare la miseria e le carestie che affliggevano la popolazione. Talvolta furono anche impegnati politicamente come protagonisti o a sostegno di movimenti cristiano-democratici o marcatamente croati nel periodo della Jugoslavia monarchica, quando il Paese era di fatto sotto il controllo della componente serbo-ortodossa. Per non parlare dell’alto tributo di sangue pagato anche dai francescani al termine del secondo conflitto mondiale, quando i partigiani comunisti di Josip Broz “Tito” giustiziarono sommariamente molti di essi per la sola colpa di essere ecclesiastici cattolici e croati, come corollario alla loro lotta contro lo Stato Indipendente di Croazia (esistente dal 1941 al 1945) di cui faceva parte anche l’Erzegovina. I francescani sono sempre stati l’emblema della cattolicità in questa terra e in quasi tutte le famiglie la loro fede, il loro esempio e il loro sacrificio, ha suscitato tante vocazioni. Si può dire che nella storia di ogni famiglia dell’Erzegovina vi sia almeno un religioso dell’Ordine dei Frati Minori. Venendo ai tempi più recenti, nel corso del Novecento, in seguito alle decisioni adottate dalla Santa Sede, si procedette allo stabilimento delle gerarchie e del clero secolare nel territorio. Con il passaggio della titolarità della sede episcopale di Mostar e delle relative parrocchie alla cura di questi ultimi, si sono verificati in taluni casi dei problemi. Quindi l’aver reciso questo plurisecolare legame ha creato delle difficoltà nelle fasi iniziali fra i tre soggetti coinvolti nella vicenda (francescani, clero secolare e popolazione). Come detto, principalmente proprio a causa del profondo legame, qui sinteticamente illustrato, dei fedeli alla storia e all’attività dei religiosi francescani. Questioni che ora sono da considerarsi storiche, con ancora alcuni casi da risolvere, hanno oggi aperto la piena collaborazione nell’attività pastorale della provincia e della diocesi.
 
 
Quarta domanda:
Possiamo dire che, in linea di massima, voi Francescani siete ben visti da Mussulmani, Ortodossi e Cristiani. Avete sempre messo al primo posto l'Amore di Dio verso i poveri e il dialogo ideato da San Francesco piuttosto che il nazionalismo. Oggi in Europa stiamo assistendo ad una vera e propria transumanza di popoli e di religioni, e stiamo vivendo una situazione che voi affrontate da secoli. Qual è la strada migliore per una convivenza pacifica?
Padre Miljenko risponde:
L’Erzegovina è un luogo dove da secoli vi è un confronto e talvolta scontro tra popolazioni e religioni. È proprio alla luce di questa esperienza che la strada maestra da percorrere in questi casi è quella del confronto e del reciproco rispetto soprattutto per ciò che riguarda la religione. Per poter cogliere il concetto del nostro “nazionalismo” occorre comprendere che, rispetto all’occidente, nei Paesi dell’Europa Centro orientale e Sud-orientale “nazione è religione”. L’appartenenza ad una popolazione vuol dire anche principalmente appartenenza alla sua confessione religiosa. La storia ha insegnato che nessuna di queste debba prevaricare sull’altra (come avvenuto nella Prima Jugoslavia) o porre le confessioni religiose sotto il controllo dello Stato (come nella Jugoslavia socialista). Occorre che vi siano pari diritti e dignità garantite a tutte le popolazioni per una pacifica convivenza. Riguardo agli attuali spostamenti di popolazione, quindi, vale un principio simile circa l’inserimento dei migranti nei Paesi di accoglienza. A tal proposito papa Francesco sta operando in due direzioni: esortando all’esercizio della carità cristiana del soccorso per chi è nel bisogno, ma anche richiamando i governi a por fine alle cause che conducono ai fenomeni descritti, che sono principalmente le guerre e la miseria. Diversi episcopati dei Paesi africani, ad esempio, chiedono un intervento dei “grandi del mondo” per evitare guerre e creare le condizioni per lo sviluppo dei principi democratici e del progresso economico, affinché i popoli di quel continente possano pensare al proprio avvenire rimanendo nei luoghi d’origine.

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