venerdì 23 aprile 2021

I due atteggiamenti fondamentali che l’uomo deve avere quando si trova davanti alla sofferenza.


 "Beati gli afflitti"di Jelena Vasilj 

 

Quando meditiamo sulla sofferenza umana dobbiamo partire sempre dal fatto che ci troviamo davanti a un mistero inesauribile. Essa infatti è parte dell’uomo, che è mistero a se stesso ed è conosciuto in profondità solo dal suo autore. La sua vita, dice San Paolo, è nascosta e verrà rivelata nella sua gloria con la venuta di Cristo (cfr. Col 3,4). La sofferenza è la più forte testimonianza che l’uomo non è solo, che egli ha la sua origine altrove, cioè in Dio. L’uomo è stato affascinato dall’idea di possedere la propria vita sin dall’inizio, quando ancora egli si trovava nel giardino dell’Eden, appropriandosi delle prerogative che la vita porta in sé. E non solo della sua, ma anche di quella degli altri. Dio gli fa tuttavia presto comprendere che tale decisione avrebbe avuto gravi conseguenze, tali  da portarlo a conoscere la morte (cfr. Gen 2,17).Con il peccato l’uomo viene infatti soggetto alla morte e, insieme ad essa, anche alla sofferenza, che va considerata come una specie di morte o di assenza di quel bene di cui l’uomo godeva all’inizio della sua creazione. E’ da rilevare che l’essere umano già allora era esposto al lavoro e all’azione, è quindi errato pensare che la sua unica occupazione fosse quella di mangiare la frutta dell’Eden! Si sa però che egli non conosceva ancora la fatica che accompagna il lavoro, perché essa diventò una maledizione conseguente al peccato; perciò Dio gli disse: "Il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con fatica tutti i giorni della tua vita "(Gen 3,17). Per rimediare a questa assenza del bene, l’uomo deve essere ricondotto da Dio; ed è proprio la sofferenza a ricordargli che egli deve affidare la propria vita all’altro; che egli non è autosufficiente, e che più si distacca da Dio e dagli altri, più la sua lacuna interiore cresce. Il peccato del nostro progenitore ci ha fatto ereditare una natura inferma, soggetta alle sofferenze materiali e morali. La vera maturità non consiste nel saper controllare la propria vita, altrimenti commettiamo l’antico errore, ma nell’accorgersi che la ferita che sanguina ha bisogno di un Medico, che è venuto per curare i malati e che, come agli Apostoli dice anchea noi : "Perché avete paura?" (Mt 8,26),... potremmo aggiungere, della vostra sofferenza! Avere fiducia di Gesù e seguire il suo esempio sono i due atteggiamenti fondamentali che l’uomo deve avere quando si trova davanti alla sofferenza. La fede è necessaria perché la Croce di Cristo è il vincolo della nuova alleanza, per essa siamo di nuovo legati alla Divinità nel sangue di Cristo. Imitando invece il modo in cui Cristo stesso si è comportato ci viene rivelata la sua volontà eucaristica: "Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a compimento la sua opera" (Gv 4,34). Anche noi nell’Eucaristia siamo nutriti da questa volontà; ma spesso dimentichiamo che in essa ci viene data tutta la persona di Cristo. Nella sofferenza è quindi necessario unire la nostra volontà di ringraziamento e di offerta a quella della SS. Trinità, e vivere con piena coscienza che siamo continuamente avvolti dall’abbraccio della Famiglia Divina. Possiamo dedurre, che la sofferenza più profonda si sperimenta quando non si è alla continua presenza di Dio. Come il bimbo che, pur soffrendo, in presenza della mamma ritrova la calma, così anche noi nel seno del Padre, troviamo il nostro riposo. Non ci dobbiamo mai staccare da Cristo di cui siamo corpo. Proprio in quanto tali, nella sua Ascensione egli ci fa già riposare in cielo; così, per la stessa ragione, il Cristo soffre con quella parte del suo corpo che è ancora sulla terra. Dobbiamo pregare lo Spirito Santo, il Consolatore degli afflitti, colui che è la vita e la forza di Dio. Ma una tale consolazione nasce solamente dalla SPERANZA, che è generata dalla virtù della pazienza e che, a sua volta, è frutto della sofferenza (cfr. 2Cor 1,6). Ci affidiamo alla sua Sposa Maria, consolatrice degli afflitti, affinché il suo cuore trafitto, possa essere per noi fonte di consolazione.

 

 


Eco di Maria Regina della Pace 158

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